Dieta Mediterranea e Carne Rossa

La dieta mediterranea è da sempre ritenuta un modello da seguire per ottimizzare le funzioni metaboliche e vivere una vita più sana. Non tutti i paesi del mondo possono godere degli alimenti che occupano la tavola di noi “mediterranei” ma esistono delle alternative “nordiche”, dove prevale il consumo di cereali e di pesce, altrettanto sostenibili da un punto di vista salutistico e dagli apporti calorici che meglio rappresentano il clima più freddo.

Forse non tutti sanno che la “piramide alimentare mediterranea” è cambiata e che adesso, in un certo senso, sembra quasi capovolta.

NUOVA PIRAMIDEVECCHIA PIRAMIDE

Le differenza sostanziali sono le seguenti:

  • Alla base della piramide (raccomandazione quotidiana) troviamo consumo adeguato di acqua e vitamine, insieme al consiglio di sostenere una qualsiasi attività sportiva e moderare il consumo di alcol.
  • I carboidrati che prima erano alla base, senza particolari distinzioni, vengono oggi slittati fino alla vetta se si tratta di carboidrati raffinati; quindi è consigliato mangiare con moderazione non più solo i carboidrati semplici (dolci e zucchero) ma anche riso brillato, patate e infine pane e pasta ottenuti da farine e semole troppo raffinate.
  • Allo stesso piano dei carboidrati “integrali” abbiamo anche gli oli vegetali (ovviamente fanno eccezione le materie grasse vegetali estremamente satura provenienti da cocco e palma).
  • Verdure e frutta restano invariate.
  • La frutta secca, che prima era inclusa nella stessa “casellina” di carne, pollame, uova e pesce, guadagna importanza a confronto di questi (da 1 a 3 porzioni a settimana); Pesce, pollame e uova subito dopo (da 0 a 2 porzioni a settimana).
  • Le carni (rosse), che prima erano incluse nello stesso gruppo del pesce e pollame, uova e frutta secca, finiscono sulla vetta insieme ai carboidrati raffinati, quindi da consumare, insieme a questi, con moderazione.

 

In passato non si facevano distinzioni tra carboidrati raffinati ed integrali perché le farine 00 non erano così presenti nella nostra dieta come adesso, tanto che i nostri nonni da giovani non erano neanche a conoscenza della loro esistenza. La dieta mediterranea, intesa come “linea guida del buon mangiare”, è la dieta del “contadino siciliano” degli anni 50’: cereali (per lo più integrali), legumi, olio di oliva, carne assolutamente sì, ma la domenica, e nei giorni di festa (chi se la poteva permettere).

Oggi abbiamo a che fare con altre abitudini in tutta Italia, e sia ciò che mangiamo che il movimento che facciamo è essenzialmente mutato. Il consumo di carne è aumentato, anche se secondo i dati raccolti dall’EFSA (autorità europea per la sicurezza alimentare) in Italia ne consumiamo un 40% in meno rispetto i maggiori consumatori di Europa.

Le ultimissime dichiarazioni dell’IARC (agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) hanno alimentato diverse polemiche e non poche paure nei consumatori; come immediata risposta tantissimi esperti (e non) hanno cercato di tranquillizzare gli animi, affermando che non è corretto credere che mangiare la carne assicura l’insorgenza del cancro.

La verità, come spesso accade, potrebbe stare nel mezzo: bisogna rendersi conto che viviamo un cambiamento sia nelle nostre abitudini che in quelle dell’industria alimentare, la quale si vede costretta a dover attendere a una popolazione più sostanziosa, con diverse necessità, e pertanto deve adeguare anche le proprie tecnologie, al fine di garantire numeri e conservabilità; quindi l’assumere atteggiamenti del tipo “si è sempre fatto così”,  potrebbe risultare ben poco costruttivo. È vero che rispetto a ieri le proteine animali occupano maggiore spazio fra le nostre calorie diarie e i numeri sembrano aumentare, pertanto i fattori di rischio definiti dall’IARC, anche se oggi effettivamente possono sembrare un allarmismo esagerato, dovrebbero essere presi come un atto di consapevolezza. La direzione verso dove stiamo andando, tanto a livello italiano che globale, non è quella giusta (dati scientifici alla mano), né per la nostra salute né per quella del pianeta, visto l’impatto ambientale che la crescente produzione animale comporta.

Claudio Merlo

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